Onorevoli Colleghi! - La parità tra donne e uomini dovrebbe costituire un principio fondamentale del diritto comunitario e nazionale.
      Il difficile governo della complessità di un mondo globalizzato e le evoluzioni intervenute nella vita pubblica e nelle culture decisionali del settore privato, oltre a un interesse accresciuto per l'uso efficace delle risorse e dei talenti umani, sono fattori che richiedono un'equa presenza dei due sessi nei luoghi della rappresentanza e della decisione.
      La maggiore presenza delle donne nei governi nazionali e locali, nelle sedi elettive, nelle istituzioni e nei luoghi decisionali determina un rinnovo di valori, idee e stili di comportamento di cui si avvantaggia l'intera società.
      A seguito della IV Conferenza mondiale sulle donne tenutasi a Pechino nel 1995 l'Unione europea ha attuato una coerente politica di pari opportunità con un corpus di conoscenze, norme e prassi che hanno conferito diritti formali alle donne e hanno aumentato in modo significativo il numero delle donne nella Commissione europea e nel Parlamento europeo.
      L'Italia, invece, quanto alla partecipazione delle donne alla vita professionale politica ed economica, viene superata da numerosi Paesi. È il quadro tracciato dallo United Nations development program, il programma per lo sviluppo delle Nazioni Unite, nel rapporto sul GEM (Gender Enpowerment Measure), l'indice che misura l'inserimento femminile nei settori chiave.       

 

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      L'articolo 3 della Costituzione italiana, definito il cuore della Costituzione stessa, afferma l'uguaglianza dei cittadini davanti alla legge senza distinzione di sesso e, al secondo comma, obbliga la Repubblica a «rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese».
      La modifica dell'articolo 51 della Costituzione, approvata a larga maggioranza, recita che «Tutti i cittadini dell'uno o dell'altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge. A tale fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini».
      Questa modifica - che integra l'articolo 3 - supera l'interpretazione restrittiva che di questo articolo è stata data in questi anni e che ha permesso alla Corte costituzionale di emanare una sentenza, la n. 422 del 1995, che, eliminando le quote nelle candidature elettorali, giustifica, rifacendosi all'articolo 3 e rinviando ai partiti la responsabilità di un riequilibrio tra donne e uomini in politica, un attacco politico alle donne.
      Con la modifica dell'articolo 51 della Costituzione è stata data copertura costituzionale a tutte quelle future norme elettorali nelle quali venissero garantite, in modo eguale a entrambi i sessi, pari condizioni di accesso alle cariche elettive e agli uffici pubblici.
      Oggi, a seguito della citata sentenza della Corte costituzionale n. 422 del 1995 e della impostazione maschilista dei partiti politici, la presenza delle donne nelle istituzioni è assai scarsa; specialmente nelle istituzioni politiche rappresentative (Parlamento, consigli comunali e regionali) le donne costituiscono una percentuale molto, troppo bassa.
      Nella scorsa legislatura, al Parlamento, nelle elezioni del maggio 2001, sono state elette 64 donne alla Camera dei deputati e 24 al Senato della Repubblica: 88 donne su 945 parlamentari per una percentuale del 9,2 per cento. In tale legislatura la presenza delle donne nel Parlamento italiano è stata ai minimi storici e di conseguenza anche i presidenti di Commissioni parlamentari e i presidenti di gruppi parlamentari sono stati tutti uomini.
      Da tempo è stata richiamata l'attenzione sul sorpasso effettuato da parte delle ragazze rispetto ai ragazzi, già a partire dall'età scolare.
      Anche nella selezione per la dirigenza, ove vi sia trasparenza di informazione ed equità di valutazione, come nei concorsi pubblici, le donne dimostrano solitamente un'ottima preparazione professionale e quindi hanno ottime possibilità di inserimento sul lavoro anche ai più alti livelli.
      Quando, invece, la scelta avviene per cooptazione, come nelle aziende private oppure con lo spoil system, prevalgono altri criteri di selezione legati spesso più a uno spirito di clan che a una selezione democratica. E le donne sono penalizzate.
      Tipica è la situazione interna ai partiti politici i cui segretari sono praticamente tutti di sesso maschile, sia a livello nazionale che a livello regionale.
      Il diritto di associarsi in partiti politici per concorrere a determinare la politica nazionale di cui all'articolo 49 della Costituzione, non è mai stato regolamentato con legge dello Stato e, di conseguenza, è lasciata totale libertà ai partiti di organizzarsi. Ben pochi sono quelli che applicano le indicazioni della citata sentenza del 1995, ora superata dalla modifica dell'articolo 51, che è molto più vincolante perché non rimanda solo ai partiti la necessità di ristabilire l'equilibrio donna-uomo nel settore pubblico politico, ma impegna la Repubblica, e quindi, tutti i livelli dello Stato, ad agire per rimuovere gli ostacoli.
      Inoltre, mentre in molti altri Paesi europei la legislazione impone nelle candidature e nelle nomine governative, a tutti i livelli, di tenere conto del principio di parità, in Italia la presenza di donne al Governo è puramente simbolica e non di rado i consigli elettivi e le giunte regionali,
 

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provinciali e comunali sono totalmente maschili.
      Solitamente alle donne non è lasciata neanche la possibilità di candidarsi in posizione eleggibile.
      Negli ultimi anni si sono registrati non pochi casi di liste elettorali composte totalmente da uomini.
      Pertanto, risulta indispensabile che l'applicazione dell'articolo 3 e dell'articolo 51 della Costituzione avvenga nella maniera più ampia e rapida possibile, in modo da creare le premesse perché si inverta la tendenza italiana che, come risulta da tutti i rapporti internazionali ed europei, ci colloca agli ultimi posti delle classifiche mondiali.
      La proposta di istituire una Commissione bicamerale per le pari opportunità vuole essere una risposta politico-organizzativa di livello istituzionale, già sperimentata con successo a livello europeo a cominciare dalla Commissione per i diritti della donna e le pari opportunità del Parlamento europeo per articolarsi nei vari organismi che i parlamenti nazionali degli Stati membri si sono dati. Infatti, in Austria entrambi i rami del Parlamento dispongono di una commissione del genere, così anche il Belgio, la Finlandia, la Francia, la Germania, l'Irlanda, il Lussemburgo, la Spagna e la Svezia.
      In Italia, tale Commissione bicamerale dovrebbe individuare gli ostacoli da rimuovere in sede parlamentare per le piena applicazione dell'articolo 51 della Costituzione, monitorare la legislazione vigente in materia di pari opportunità, valutare l'impatto di nuove leggi, fare un'analisi di genere del bilancio dello Stato e della legge finanziaria secondo il modello del gender auditing ormai diffuso in molti Paesi europei. Dovrebbe, ovviamente, interloquire con i gruppi parlamentari e con il Governo. Si prevede che tale Commissione eserciti un'azione complessiva di mainstreaming, secondo quanto contenuto nel Programma di azione adottato dalla Conferenza di Pechino del 1995, che il nostro Governo ha sottoscritto e reso operativo con la citata direttiva Prodi del 1997, ma sostanzialmente mai applicato.
      Pertanto, la proposta di legge prevede l'istituzione di una Commissione parlamentare per le pari opportunità tra uomo e donna, composta da venti senatori o senatrici e da venti deputati o deputate, al fine di assicurare la piena realizzazione dei precetti di cui agli articoli 3 e 51 della Costituzione, promuovendo l'uguaglianza tra i sessi e rimuovendo gli ostacoli limitativi della parità. La Commissione ha compiti di indirizzo e di controllo sulla attuazione concreta degli accordi internazionali e della legislazione relativa a tale materia; è suo compito elaborare le modifiche necessarie alla conformazione della legislazione nazionale e a tal fine formula proposte, promuove e svolge indagini, studi e ricerche sullo stato di attuazione della parità tra i sessi anche in relazione alle norme costituzionali, alle leggi ordinarie e alle norme comunitarie e internazionali. Inoltre sollecita e promuove tutte le iniziative volte a favorire la partecipazione attiva delle donne alla vita politica, sociale ed economica.
      All'articolo 3 si sancisce che la Commissione sviluppa rapporti con la Commissione nazionale per la parità e le pari opportunità tra uomo e donna, con il Comitato nazionale per l'attuazione dei princìpi di parità di trattamento ed uguaglianza di opportunità tra lavoratori e lavoratrici istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, nonché con le associazioni e i movimenti delle donne maggiormente rappresentativi sul piano nazionale.
 

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